Caravaggio a Roma. Le sue opere più importanti sono ancora oggi visibili nelle Chiese del XVII secolo della Città Eterna e rappresentano la sua arte rivoluzionaria: il divino che si rivela negli umili.
L’arrivo di Caravaggio a Roma
Caravaggio, poco più che ventenne, arriva dalla Lombardia in una Roma di fine Cinquecento, centro del potere pontificio che tutto domina, arte compresa.
Giunge con un bagaglio artistico settentrionale, intriso di suggestioni chiaroscurali e immagini fortemente carnali, evocanti il lato spietato della realtà, pronto a stravolgere completamente i canoni dell’epoca.
Caravaggio è ambizioso, ma ancora un Signor Nessuno, quindi costretto a lavorare per conto di nomi più grandi del suo, in botteghe dove l’opera finale è il risultato dell’impegno di più Signori Nessuno, ciascuno assegnato alla sua parte.
Per distinguersi comincia, dunque, a dipingere anche per conto proprio, esponendo negli spazi ove è possibile tentare un po’ di fortuna. Parliamo dei barbieri, all’epoca sorta di saloni di bellezza e presidi di “pronto soccorso” erano luoghi parecchio affollati dove farsi notare.
Il talento innegabile di un pittore sconosciuto poteva essere ingenuamente pubblicizzato, fino ad arrivare, come si suol dire, alle orecchie giuste.
Per esempio, quelle di un cardinale particolarmente sensibile alla buona arte e talmente potente da avere il compito di scegliere gli artisti da impiegare nei cantieri della città.
E così sarà!
La svolta di Caravaggio nel mondo dell’arte: il divino nell’umano
Caso vuole che quel cardinale abbia bisogno di un pittore per completare la decorazione della cappella funeraria del cardinale francese Mathieu Cointrel, italianizzato Contarelli, ubicata nella chiesa di S. Luigi dei Francesi, a due passi da Piazza Navona.
Il contratto per la commissione viene firmato nel luglio del 1599 da quel lombardo ormai quasi trentenne; la firma è “Michelangelo Merisi”, ma tutti lo conosciamo semplicemente come Caravaggio.
Bisogna mettersi nei panni di questo esordiente Caravaggio: il suo primo lavoro importante, consistente, per il momento, in due tele dalle dimensioni titaniche, se paragonate a quelle con cui egli era abituato.
Il risultato, però, non delude: l’apostolo Matteo, l’esattore delle tasse, rappresentato quando scelto da Gesù e quando, stando ad una certa tradizione, venne martirizzato per non aver favorito l’unione tra un re e sua nipote.
Le due opere di Caravaggio a confronto
Della prima opera “Vocazione di San Matteo” stupisce lo stabile squilibrio nella distribuzione impari dei personaggi tra parte destra e sinistra, la potenza del gesto del Cristo che indica (la didascalia “Tu. Seguimi” appare spontanea negli occhi di chi guarda l’opera).
La misteriosa eppure naturale luce che rinforza (come spesso nelle tele del Caravaggio) la presenza divina, la meravigliosa restituzione della quotidianità espressa dalla noncuranza dei personaggi verso il divino in mezzo a loro.
E un divertente dubbio, in realtà sollevato in tempi recenti e facilmente fugato, circa l’identità di Matteo, ad un certo punto ritenuto un altro dei personaggi della scena.
Nella seconda opera il “Martirio di San Matteo”, invece, non c’è il senso di sospensione presente nella Vocazione, anzi, è di scena il dramma: protagonista, il Male, senza mezzi termini, la paura, il disgusto; e, di nuovo, la luce, la presenza divina che sul Male agisce.
Tempo un anno e Caravaggio viene incaricato di un nuovo lavoro, ancora la decorazione di una cappella funeraria, quella di Monsignore Cerasi, tesoriere della Camera Apostolica, all’interno della Chiesa di S. Maria del Popolo; ancora due tele: la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo.
Caravaggio: maudit ante litteram
Ora, Caravaggio appare nelle cronache come un “maudit ante litteram” dal carattere irascibile, è vero, ma le sue scene si impostano sui testi sacri e raffigurano “francescanamente” la natura squisitamente umana dei santi, come a sottolineare il concetto più importante: divini perché hanno sofferto come semplici uomini.
Ciò è evidente, appunto, nella Crocefissione, dove Pietro non mostra l’aplomb dell’eroe, bensì la goffaggine di un crocefisso sballottato dai suoi carnefici.
A differenza del sicario del Martirio di Matteo, non hanno la benché minima voglia di fare quello che stanno facendo, “si stancano, forse imprecano anche, come farebbero dei semplici operai, al punto da scordarsi di essere osservati ogni giorno dai turisti… altrimenti non si spiegherebbe quel bel fondoschiena di uno di essi puntato verso di noi!” L’indifferenza della quotidianità.
Nella Conversione paolina, di contro, non c’è concitazione, tutto è accaduto: Paolo tende le braccia alla luce, occhi chiusi, forse anche per ricevere, fin nell’intimo, il tocco del Cristo. E un cavallo al centro: quello da cui Paolo è appena caduto per esser stato sorpreso dalla Voce che gli chiedeva il motivo della sua tenace persecuzione; peccato che un cavallo non potesse essere rappresentato come figura centrale, secondo i canoni del tempo.
Di nuovo nella Cappella Contarelli per terminare la decorazione dell’ambiente, Caravaggio lascia tutti perplessi con un San Matteo nell’atto di farsi guidare nella stesura del suo Vangelo.
Appunto da un angelo che, quasi tralasciando il dato soprannaturale, gli suggerisce le parole in quella che è la seconda versione dell’opera accettata dal committente. Nella precedente, infatti, un giovanissimo angelo guidava addirittura la mano ad un anziano Matteo che, analfabeta, non sarebbe riuscito a scrivere da solo il proprio Vangelo.
Caravaggio: ultime commissioni romane
Infine, l’ultima delle commissioni romane ancora visibili nelle Chiese dell’Urbe: la pala d’altare per la cappella funeraria di Ermete Cavalletti, dipendente di Monsignor Cerasi, la prima a sinistra nella Chiesa di S. Agostino.
Cavalletti era un devoto della Madonna di Loreto, membro di una arciconfraternita che assisteva i pellegrini, per questo commissionerà a Caravaggio una tela di quella Madonna. Caravaggio la dipinge con la postura e le fattezze di una cortigiana, all’interno di una chiesa ubicata non lontano da uno dei principali bordelli della città.
Nella chiesa era permesso alle prostitute di seguire la messa, forse anche per questo la tela è ancora lì, mai revisionata dall’autore, splendido trionfo del rispettoso concetto caravaggesco del divino intriso di umano.
La donna si deve appoggiare poichè il bambino che porta in braccio è umanamente pesante, si appoggia ad uno stipite di uno degli infiniti portoni di una grande città, ma a fiutarne la segreta santità non sono cardinali, nemmeno semplici preti, bensì due poveri pellegrini: di nuovo, “francescanamente”, i silenziosi eroi dagli occhi davvero aperti sono persone del popolo più basso.
Alla scoperta di Caravaggio nelle Chiese di Roma: un itinerario perfetto
Questo è Caravaggio, presto imitato da schiere di colleghi ammiratori, i Caravaggeschi, ma presto dimenticato, anzi, condannato all’oblio dai giudizi infamanti di chi, artista mediocre, non ne sopportava la grandezza ma ne scriverà la biografia; riscoperto in tutta la sua potenza, strano solo a pensarlo, appena cento anni fa.
Oggi il genio di Caravaggio è universalmente riconosciuto e Roma è senza dubbio il posto migliore per comprenderne appieno la grandezza.
La Città Eterna conserva il maggior numero di opere attribuite a Caravaggio e resta testimone indiscussa di una rivoluzione artistica che ha cambiato la storia della pittura in Italia, ponendo dinanzi a un confronto mai visto l’umano e il divino.
Lasciarsi guidare per le vie del centro storico e all’interno delle Chiese romane ove i capolavori di questo grande artista sono “perfettamente intatti e conservati”, è senz’altro l’itinerario migliore per conoscere Caravaggio, partecipando a una delle visite teatralizzate de i Viaggi di Adriano potrebbe esserci addirittura la possibilità di incontrarlo.